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"Il diritto vivente è il diritto che, non formulato in proposizioni giuridiche, regola tuttavia la vita sociale", così Eugen Ehrilich tratteggiando, nel 1913, "I fondamenti di sociologia del diritto". Ripercorrendo lo sviluppo delle prospettive antiformaliste presenti nella cultura giuridica italiana del Novecento, dall'idealismo all'ermeneutica giuridica, da certe interpretazioni della giurisprudenza costituzionale alla scuola dell'esperienza giuridica, si giunge sino alla concezione del diritto mite; si ritiene di dover vagliare tali elaborazioni, che, sia pur con intenti ed esiti differenti, ritrovano un punto comune nella negazione dell'esclusività dell'attività legislativa nella produzione del diritto, alla luce di alcuni attuali orientamenti giurisprudenziali, al fine di riconoscere nel diritto vivente il reale momento di ordinamento giuridico della società, riconfermando, anche attraverso l'identità concettuale fra interpretatio e iurisprudentia, l'essere l'attività giurisprudenziale il fondamento ultimo della positività del diritto.